Prendiamoci cura dei nostri nonni

Quasi chiunque abbia almeno un nonno in vita si può spaventosamente rendere conto di quante medicine prenda in media al giorno, soprattutto se si tratta di un soggetto diabetico. Osservando mio nonno, ho contato quattordici pillole e due colliri distribuiti durante l’arco della giornata, più una quindicesima pillola prima di andare a dormire. Potreste pensare che sia tutto nella norma: la maggiorparte degli anziani sono oramai medico-pillola dipendenti. Facendo due conti, nel nostro paese ci sono circa 60,6 milioni di residenti, di cui 8,3 milioni, ovvero il 13% hanno un età compresa tra 0 e 15 anni; 39 milioni, il 64,3% hanno tra i 15 e i 64 anni e 13,4 milioni, pari al 22% della popolazione hanno più di 65 anni.

Da questi dati, aggiornati al primo gennaio 2016, si evince che ci sono circa 157 anziani ogni 100 giovani (aumentati a 161 all’inizio del 2017), le nascite sono drasticamente in diminuzione da 5 anni a questa parte: nel 2015 si sono fermate a 448mila cioè 15mila in meno rispetto all’anno precedente; gli anziani aumentano invece progressivamente nonostante sia calata l’aspettativa di vita alla nascita per la prima volta dal 2004 che ora si attesta ad 80,1 anni di media per gli uomini e ad 84,7 per le donne. Inoltre si è registrato il più alto picco di mortalità dal secondo dopo guerra e pare che siano proprio i più anziani, appartenenti alla fascia di età compresa tra 75 e 95 anni, ad alzare la media nazionale.

Ora che abbiamo un paio di numeri possiamo affermare che l’Italia è un paese per vecchi: insieme alla Germania, è il più vecchio d’europa con un’età media di 44,2 anni.

Non possiamo neanche immaginare quanti miliardi vengano spesi annualmente solo per gli anziani, tenendo bene a mente che solo 28% di quelli non autosufficienti viene assistito dalla pubblica sanità. Il resto è costretto a spendere soldi di tasca propria per badanti e farmaci che non vengono passati in alcun modo. Il giro di miliardi di euro che ruota attorno a queste vite è impressionante e non c’è alcun dato certo e disponibile, perciò, possiamo solamente usare la fantasia per quantificare quanti soldi vadano in tasca giornalmente alle case farmaceutiche.

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La lista della spesa della farmacia

Nella lista della spesa media sono compresi modulatori per l’insultina, anticolesterolici, anticoagulanti, antidepressivi e calmanti, sonniferi e protettori gastrici. Di recente è stato confermato che proprio questi ultimi, gli IPP, ovvero tutta la famiglia degli inibitori di pompa protonica, aumentano il rischio di sviluppare i segni progressivi della demenza. Nell’aprile 2016, la rivista “JAMA Neurology” riportò i risultati di una ricerca condotta su 75.000 pazienti dall’Università comparata di Bonn e Rostok negli anni compresi tra il 2004 e il 2011. Tali analisi, condotte continuativamente ed aggiornate ogni tre mesi, tolsero difinitivamente il dubbio che circolava da anni sulla pericolosità dei protettori gastrici: essi aumentano effettivamente il rischio di ammalarsi di Alzheimer di una volta e mezza in più rispetto ai pazienti che non ne hanno mai fatto uso. Purtroppo, in Italia questo tipo di farmaci sono tra i più prescritti e comunemente affiancati alla terapia degli anziani dal medico di base! Nel nostro paese, circa il 20% delle persone di età compresa tra i 75 e gli 81 anni manifesta fenomeni, anche severi, di declino cognitivo. Questa categoria di farmaci, comprendenti tra gli altri omeprazolo, pentoprazolo ed esoprazolo, porterebbero questa percentuale già allarmante fino al 30%.

Si stima che la malattia di Alzheimer sia provocata da una proteina neurotossica denominata beta amiloide, responsabile dell’infiammazione cronica dei neuroni che, dannegiandoli, arriva a farli morire del tutto. Gli inibitori di pompa protonica giocherebbero quindi un ruolo fondamentale nell’accumulazione nel cervello di questa proteina, impedendone il rilascio a causa proprio dell’effetto che hanno sulla chiusura delle pompe protoniche. Fortunatamente, nel 2015 i ricercatori del Salk Institute in California hanno confermato con test clinici quel che già fu affermato nel 2014 dall’Università della Florida del Sud (UFS), dove fu dimostrato che bassi livelli di THC nel sangue sono in grado di rallentare o arrestare la progressione della malattia. Nei test californiani è stato utilizzato il THC direttamente sulle cellule neurali dove si è potuta riscontrare una diminuizione del livello della proteina beta amilasi, si è quindi eliminata la risposta infiammatoria dei neuroni innescata dalla proteina stessa, consentendo in questo modo ai neuroni di sopravvivere.

La Cannabis come farmaco per ogni male

Allora perchè non fare fumare, mangiare, vaporizzare Cannabis agli anziani che potrebbero giovare del THC e degli altri cannabinoidi anche per tutte le altre patologie a loro comuni come diabete, glaucoma, ipertensione?
In Israele si studiano gli effetti terapeutici della Cannabis ufficialmente dal 1964 e dal 2010, oltre ad aver legalizzato la Cannabis terapeutica a livello nazionale già nel 1999, la si somministra abitualmente ai pazienti ricoverati all’ospizio e che soffrono di gravi patologie come l’Alzheimer ed il morbo di Parkinson a stadi avanzati. In un bellissimo articolo di Francesco Battistini, pubblicato sul Corriere della Sera nel 2011, l’autore riporta la propria esperienza all’interno di un kibbutz israeliano (paragonabile ad una grande azienda agricola, in cui ogni lavoratore viene ripagato coi frutti della terra) dove rimane colpito dalla storia di Ariela, una signora di sessantasei anni affetta da demenza senile. Questa poveretta non faceva altro che urlare, si svegliava urlando e si addormentava facendo altrettando. Purtroppo, fino a poco tempo prima, veniva imbottita di pillole tra cui antidepressivi, antipsicotici e antidolorifici che non facevano altro che peggiorare ulteriormente il suo quadro clinico già molto grave.

Fortunatamente, dall’inizio del progetto in poi, l’apertura mentale dei medici le garantì una vita più serena: Ariela veniva portata regolarmente in una fumeria, un gabinetto d’inalazione moderno, ad aspettarla c’era un vaporizzatore caricato con mezzo grammo di Cannabis triturata. Il risultatò fu che Ariela distese i muscoli tesi di viso e corpo e pian piano cominciò a parlare, a raccontare qualcosa di sè in francese e disse che fumare la faceva stare bene, accennando ad un sorriso. Dal 2010 in quel kibbutz, i bisognosi vengono curati con la Cannabis così viene donata loro una qualità della vita più alta e dignitosa. La somministrano anche ai bambini malati di cancro sotto forma di biscotti, ottenendo buoni risultati contro i sintomi nefasti della chemioterapia.

In Israele la Cannabis terapeutica è completamente gratuita perchè farebbe risparmiare un sacco di soldi che verrebbero altrimenti spesi in costosi medicinali: ciò non piace granchè alle case farmaceutiche ma per ora il programma continua ad andare avanti.

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Ad oggi questa è una realtà anche negli Stati Uniti, dove in gran parte degli stati l’uso terapeutico della Cannabis è legale e di conseguenza sono aumentate le case di riposo che la propongono ai propri degenti. E’ il caso della Hebrew Home di Riverdale, situata a New York City nella quale, grazie ad un nuovo programma, la Cannabis viene usata per il trattamento di varie patologie in alternativa ai farmaci tradizionali. Secondo ricerche recenti seppur ancora limitato, il numero di consumatori di Marijuana di una certa età è ancora limitato, tuttavia è in aumento specialmente tra gli over 65.

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Tutto ciò è possibile anche grazie a Robert Platshorn, 69 anni di cui 30 trascorsi in un carcere federale: era stato condannato come capo di uno dei più grandi cartelli di spaccio di Marijuana negli anni Settanta e, una volta uscito di prigione, nel 2008 fondò il Silver Tour che si occupa di visitare ospizi e luoghi di culto per sensibilizzare e diffondere l’uso di Cannabis tra gli over 65. Proprio questi ultimi rappresentano una buona fetta dell’elettorato americano tra cui ci sono pochissime astensioni, tant’è che furono proprio gli anziani a decretare la vincita del “no” al referendum sulla legalizzazione tenutosi in California nel 2010.
Al giorno d’oggi le cose stanno diversamente, infatti sempre più anziani americani utilizzano l’erba per contrastare i loro acciacchi ed il pregiudizio è pressochè vinto, soprattutto negli stati in cui è stata legalizzata anche a scopo ludico.

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Nel nord della California vive Aurora Leveroni, italiana di origine e meglio conosciuta come “Nonna Marijuana”, oggi ha 94 anni e nel 2014 divenne famosa in tutto il web grazie alla sua deliziosa cucina alla quale non manca mai di aggiungere un po’di erba. Le sue ricette, specialmente i suoi dolcetti, documentati ad hoc nel programma “Munchies”, sono diventati virali su youtube. All’epoca aveva 91 anni e cominciò ad aggiungere la Cannabis in tutte le sue preparazioni cinque anni prima per tenere a bada gli acciacchi della figlia; oggi gode ancora di ottima salute e continua a far parlare di sè, ha inoltre una pagina facebook dove traspare tutta la sua ilare vitalità.

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Rimane dunque da chiedersi “quando toccherà a noi”? Solitamente l’Italia e l’Europa in generale tendono ad imitare gli Stati Uniti per quanto riguarda certe avanguardie (ma anche certe brutte abitudini, ndr), quindi speriamo che tutto ciò possa presto accadere anche nel nostro paese. Ho notato che il pregiudizio sulla Cannabis sta diminuendo progressivamente in tutte le fasce di età, sia parlando con la gente che constatando la forte presenza di over 50 alle fiere cannabiche, complice il fatto che molti, seppur con difficoltà, sono riusciti ad accedere alla terapeutica. Anche i campi di Canapa stanno tornando a rendere più verde l’Italia… manca solo una buona legislazione per il bene di tutti che speriamo venga attuata il prima possibile con il dovuto buonsenso.

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