Ecco come sono nati i Coffeeshop olandesi

 

In Olanda la tolleranza verso la Cannabis e i Coffeeshop è stata la risposta automatica all’emergenza eroina negli anni ’70

La storia dei Coffeeshop olandesi affonda le sue radici in una Amsterdam anni ’70 che ancora viveva, in termini di sostanze stupefacenti, gli strascichi dello spensierato decennio precedente e si apprestava ad affrontare un nuovo e ben più buio periodo: quello delle droghe pesanti. In questo scenario, quasi per scherzo, tra il 1972 e il 1973 apre i battenti il Mellow Yellow, una Tea House, un locale dove si serviva del tè e ad un tavolo in un angolo era possibile acquistare Cannabis o Hashish. Il proprietario e fondatore di questa prima casa da tè, di nome Wernerd Bruining, ha iniziato a fare storia con il Mellow Yellow e ha poi proseguito negli anni come imprenditore e innovatore nel mondo della Cannabis.

Il Mellow Yellow fu un successo fin da subito, tanto che si decise di posticipare l’apertura alle 18.00, orario in cui ogni fumatore di quei tempi sapeva di doversi trovare lì. Pochi anni dopo, nel 1975 cominciarono a nascere altri locali di questo genere chiamandosi Coffeeshop, tra cui il famosissimo Bulldog, diventato oggi una catena di genere commerciale. Seguirono altri imprenditori, che sapendosi ben muovere e stringere relazioni con le autorità, hanno contribuito a sdoganare definitivamente il concetto di Coffeeshop, quasi come lo conosciamo oggi. All’inizio infatti, seppur accettati socialmente, questi locali erano a volte anonimi e non avevano finestre o vetrine sull’esterno.

Successivamente, imprenditori come Arjan Roskam, hanno creato locali molto più aperti e visibili, rendendo possibile il guardarci dentro, facendo notare anche al pubblico che non li frequentava, che si trattava di normalissimi locali in cui la gente si rilassa, beve tè o caffè e fuma una canna di Hashish o Marijuana, senza creare nessun tipo di problema sociale. In questo modo ha contribuito a cambiare l’essenza dei Coffeeshop, andando anche oltre. Il suo soprannome di King of Cannabis gli è stato attribuito da numerosi personaggi dello spettacolo, che passando per Amsterdam, pretendevano di avere una foto con lui.

La differenza sostanziale tra questi locali ed altri dove si vendevano sostanze, come il Melkweg o il Paradiso, era che in questi ultimi venivano spacciate anche droghe pesanti, mentre la chiave del successo dei Coffeeshop è stata proprio l’esclusività del genere droga leggera, Marijuana o Hashish che fosse. Nei primi anni ’70 il mercato dell’eroina era nelle mani della malavita organizzata di etnia cinese e determinava un seria piaga sociale. Le autorità nel 1975, una volta visti crescere i numeri di eroinomani ad Amsterdam ed in generale in Olanda in maniera esponenziale (da centinaia, a più di 5.000 nel giro di due anni), fecero letteralmente piazza pulita rimandando in patria un discreto quantitativo di asiatici dediti allo spaccio di droghe pesanti. La mafia cinese all’epoca aveva in mano tutto il mercato dell’eroina in Olanda e una grossa fetta di quello mondiale di oppio ed eroina.

Non essendoci ancora competizione tra i dealer di Cannabis e derivati, la qualità di erba ed hashish era buona ed essendoci ancora poche caffetterie specializzate, residenti ed autorità non avevano nulla da obiettare. A quel tempo l’esistenza di un posto di questo genere venne volutamente ignorata dal governo, in quanto le droghe pesanti costituivano un problema ben più grande, e l’uso di sostanze leggere poteva distrarre un buon numero di persone dalla ricerca di altre droghe.

Durante quegli anni la situazione è stata semplicemente monitorata silenziosamente e, dato che il reparto narcotico della Polizia di Amsterdam consisteva di sei poliziotti alla guida di un vecchio maggiolino VW, le scarne risorse erano volutamente destinate altrove. Questa situazione di tolleranza si è ampliata con l’apertura di numerosissime attività di questo genere, ma si è arrivati ad un primo vero e proprio regolamento solo negli anni ’90, nonostante il Dutch Opium Act fosse stato implementato nel 1979.

Di fatto, dopo la prima ondata di tolleranza mirata ad una sorta di autogestione sociale del fenomeno, sfociata in attività commerciali in grande stile, si sono definite le prime regole basilari:

Nessun fastidio per l’area circostante
Nessuna vendita di droghe pesanti
Nessuna pubblicità
Nessuna vendita ai minori, solo 18+
Non più di 5 grammi a persona

Tra gli anni ’80 e ’90 i Coffeeshop proliferarono nell’intera Olanda e in particolare ad Amsterdam che ha toccato il picco a metà dell’ultima decade del secolo scorso arrivando a 600 locali, numero oggi drasticamente ridotto a circa 250, in seguito a diverse restrizioni.

Nelle due vie principali del centro, che si diramano dalla stazione e oggi dedicate allo shopping vi erano diversi locali, tra cui ricordo il “Canna”, un enorme Coffeeshop di tre piani che era fornito di una buona cucina e di un intero piano dedicato a sala giochi. Per un periodo, oltre a Cannabis e Hashish, si vendevano anche alcolici: in alcuni locali la somministrazione avveniva nello stesso ambiente, con un angolo separato per le altre sostanze, altri locali più grandi hanno separato le aree, definendo un netto confine tra le due zone di fruizione, come ad esempio il Grasshoper dove il piano superiore era dedicato agli alcoolici, e l’inferiore al fumo.

In generale oggi non è più possibile acquistare bevande alcoliche in questi luoghi, che ora vendono caffè e altre bevande e, laddove possibile, hanno una cucina.

Durante tutti questi anni la presenza di questi locali ha generato, oltre a innumerevoli entrate per le casse dello Stato, diverse situazioni contrastanti: l’approvvigionamento del quantitativo massimo consentito nel Coffeeshop (500 grammi) ad esempio è sempre stato di provenienza illegale, con diverse implicazioni da parte della criminalità organizzata.

Passando un paio d’ore in un Coffeeshop e osservandone l’affluenza è facile immaginare quale possa essere la richiesta di materia prima, e quanto possa essere grande la struttura che rifornisce queste attività. Dapprima queste attività si rifornivano solo di Cannabis e Hashish di importazione estera, e successivamente da una produzione interna che ha causato qualche problema sociale (utilizzo di intere case per coltivare Cannabis, immigrazione di coltivatori, istigazione – da parte dello Stato – alla denuncia di possibili coltivatori).

Più volte in questi quarant’anni si è parlato di chiusura totale dei Coffeeshop, di una loro regolamentazione severa o quantomeno volta a limitare il turismo delle droghe leggere, nonostante generi entrate per milioni di euro l’anno alla sola città di Amsterdam.

Negli anni alcune regole sono state applicate, anche stupidamente e senza eccezioni, come quella che ha portato alla chiusura pochi anni fa proprio del citato primo Coffeeshop Olandese in assoluto. Assurdo perché il divieto in questione riguarda la distanza minima dalle scuole… e il Mellow Yellow era sì vicino ad una scuola, ma si trattava di un istituto professionale per parrucchieri, i cui studenti erano pressoché tutti maggiorenni.

Le restrizioni in Olanda hanno causato la chiusura di quasi 400 coffeshop. Dapprima, il governo ha cercato di imporre alle città la restrizione di poter entrare nei coffeshop solo se residenti in Olanda, per eliminare il turismo di massa. Questa limitazione pensate ha favorito la nascita e la proliferazione dei Cannabis Social Club in Catalunia, contribuendo a rendere Barcellona una nuova meta del turismo cannabico e capitale europea della Cannabis. Ad oggi, in nessun coffeshop è espressamente vietato l’ingresso ai non residenti e i turisti non vengono certo mandati via dai titolari. I prezzi della Cannabis e dei suoi derivati si sono abbassati ed adeguati agli standard spagnoli mentre la qualità è rimasta pressoché invariata.

Il paradosso olandese.

Nel 2015 la camera dei rappresentanti, l’equivalente della nostra camera dei deputati, ha presentato ed approvato un disegno di legge che permette la coltivazione di Cannabis da parte di soggetti muniti di licenza per rifornire legalmente i Coffeshop. Purtroppo, l’iniziativa non è stata portata avanti con l’iter necessario per essere resa effettiva dai senatori, e da allora non è cambiato nulla. L’erba e l’hashish che circolano in Olanda, Bedrocan a parte, sono ancora tutti di provenienza illegale e spesso sono prodotti importati da Spagna, Marocco e India.

Fino a quando la “back door” non sarà legalizzata, per i titolari dei coffeshop resterà un problema dove e come reperire le sostanze. Il governo olandese sembra stia pianificando un progetto pilota per la produzione di Cannabis in ogni città che lo richiederà, ma sta andando tutto a rilento.

In America si vive la situazione opposta, nel senso che è legale la produzione, la vendita ma non è consentito consumare marijuana all’interno dei dispensari. In Olanda invece è sufficiente che l’esercizio si trovi come minimo a 250 metri di distanza dalle scuole e che vengano rispettate le regole sopra elencate. La Spagna ha copiato pari pari le regole dei coffeshop olandesi, insieme alla restrizione di vendita ai soli residenti e al permesso di consumare erba e fumo all’interno dei locali. Come avviene in Olanda ci sono certi posti che seguono le regole a dovere, altri no. Non è raro che un Cannabis Social Club venga chiuso per mancanza di licenza o non osservanza delle regole.

Se in Nord Europa governi estremisti paventano la chiusura totale dei coffeshop, in Spagna si sente parlare di regolamentazione delle attività, per arginare il più possibile le infiltrazioni di organizzazioni criminali – che in genere si occupano anche di atri illeciti ben più gravi – per favorire quelle realtà più trasparenti. In ogni caso, in Europa siamo ancora abbastanza lontani dal completo sdoganamento della Cannabis: i CSC spagnoli ad esempio sono ancora costretti a doversi nascondere; come per i coffeshop è vietata ogni sorta di pubblicità e addirittura non è ancora tollerato il fatto di avere una vetrina, come un normale bar.

Questa a mio avviso è un’arma a doppio taglio: è vero che in un certo senso i turisti sono meno propensi ad entrare in un luogo che sembra, è, e dovrebbe essere un club privato, ma dall’altro non si può sapere con certezza cosa avvenga all’interno, quante persone lo frequentino (a meno che non si monitori per motivi di sicurezza) etc. I club spagnoli sono nati appunto perché hanno come prerogativa il fatto di rimanere privati, la realtà è però un’altra e fino a quando non verranno completamente allo scoperto, non potranno essere accettati a pieno né dalle autorità, né dall’opinione pubblica, anche se si è comunque ad un buon punto rispetto ad altri Paesi oscurantisti, dove sembra di vivere nel Medio Evo.

È da segnalare che i singoli cittadini, insieme, possono cambiare le regole dei giochi. Nol Van Schaik, imprenditore olandese, proprietario di due coffeshop ad Harleem, nel 2001 provò a cambiare la situazione anche in Gran Bretagna. Purtroppo le autorità hanno represso l’iniziativa di Nol, che aiutò economicamente a fondare il primo coffeshop mai esistito nel Regno Unito, il Dutch Experience a Stockport, Greater Manchester. Il locale fu più volte chiuso dalla polizia e fu subito riaperto fino a quando non finirono i fondi di Nol e dell suo socio, Colin, un disabile che faceva uso di Cannabis a scopo modico. Nol aprì un altro coffeshop a Bournemouth sempre in UK ma anche questo fu chiuso dopo poco tempo.

L’attivista olandese tenne diversi corsi su come aprire un coffeshop e disse di voler aprire un museo sulla Cannabis ad Edimburgo. Nol Van Schail è anche autore dell’omonimo libro The Dutch Experience che racconta in maniera dettagliata ed approfondita la storia dei coffeshop olandesi e dei suoi fondatori, oltre che possedere il più grande museo al mondo sulla Cannabis, il Global Hemp Museum ad Harleem.

 

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