Grinspoon e Crocq: Cannabis vincente contro dipendenze e squilibri psichici

Durante il periodo proibizionista sono state scritte numerose imprecisioni riguardo Cannabis e salute mentale. In realtà le sostanze pericolose sono ben altre… e tutte legali: La Cannabis si è rivelata un salvagente per svariate condizioni psichiche, tra cui il disturbo bipolare.

di Carolina Arzà

Nel corso degli anni ho conosciuto svariati consumatori di Cannabis, persone molto diverse ed eterogenee tra loro, le quali giustificano il proprio uso della pianta in modi altrettanto differenti.

C’è chi afferma di fumare per puro piacere, chi dice di farlo per rilassarsi e stare tranquillo, chi lo fa per alleviare dolori e stress, e chi ammette senza giri di parole che senza erba impazzirebbe.

Secondo studi anacronistici e incompleti, la Cannabis favorirebbe l’insorgenza di patologie mentali latenti, in alcuni soggetti particolarmente predisposti. Tale affermazione andrebbe presa con le pinze, dal momento che non sono stati condotti studi approfonditi che dimostrino una reale correlazione tra l’uso di Cannabis e l’insorgenza di malattie mentali.

Infatti, gli attuali studi presenti nella letteratura scientifica non sarebbero attendibili come vorrebbero fare credere: per dimostrare effettivamente un collegamento concreto, bisognerebbe prendere in analisi soggetti che in periodi critici della loro vita hanno fatto uso solo ed esclusivamente di Cannabis. Ovviamente, ciò non è stato possibile. Molti dei soggetti presi in esame facevano uso abituale anche di alcool, sostanza che notoriamente è riconosciuta come responsabile di alterazioni sia fisiche che chimiche nel cervello umano, di tabacco, pianta che come principio attivo principale presenta la nicotina, una neurotossina in grado di eccitare determinate aree cerebrali e di caffeina, una tra le droghe leggere più sottovalutata nei suoi effetti collaterali.

Alla luce di ciò, non si possono in alcun modo imputare alla Cannabis colpe che in realtà non ha. Le sostanze sopraccitate, alcool, tabacco e caffè sono le droghe psicotrope maggiormente consumate al mondo. Avete letto bene: sono tutte droghe psicotrope ma, essendo socialmente accettate e sdoganate da molti anni e secoli, sembra che i consumatori non si rendano minimamente conto di quel che stiano introducendo nel proprio organismo e che tanto meno prestino attenzione ai loro effetti nel breve e nel lungo termine.

Nella letteratura scientifica sono presenti numerosissimi studi accurati su queste sostanze e tutti riportano i medesimi risultati.In breve vorrei citare quali sono le principali conseguenze che rispettivamente hanno sia il consumo moderato che smodato di alcool, nicotina e caffeina.

In seguito le considerazioni dell’esperto.

Marc-Antoine Crocq è uno psichiatra di fama mondiale, autore di 15 libri, che nel 2003 raggruppò in maniera molto chiara i risultati dei migliori e completi studi fino ad allora condotti su queste tre sostanze. Riportò tutti i dati con commenti approfonditi su “Dialogues in clinical neuroscience”.

“Alcool, nicotina e caffeina presentato diverse caratteristiche comuni che le rendono molto appetibili; grazie al loro blando effetto psicotropo sono le tre droghe più consumate al mondo.

Essendo droghe psicoattive legali, sono utilizzate largamente dalle persone “normali”, le stesse persone che in genere considerano le droghe illegali e/o pesanti come devianti.

Tutte e tre le sostanze sono diventate parte della cultura occidentale, e non, in quanto sono state utilizzate come veicolo di interazione sociale. Hanno dato forma a diverse aree dedicate nelle città – si pensi alle caffeehouse ottomanne, ai caffè parigini oppure alle Brauhaus tedesche – luoghi che hanno dato vita ad un consumo internazionale e alle relative tassazioni sui prodotti da parte dei governi. Già a partire dall’antichità, l’alcool era mal visto: Aristotele descrisse i pericoli del suo consumo in gravidanza, additandolo come responsabile delle malformazioni fetali e neonatali; il medico romano Celso descrisse il consumo e l’abuso di alcool come un disagio mentale.

Oggi alcool e tabacco rappresentano veri e propri problemi di salute pubblica in quanto strettamente correlati a cirrosi, malattie cardiache e cancro. Di queste tre sostanze, per ora (2003), solo l’alcool ha mostrato chiaramente gravi conseguenze neuropsichiatriche.

Tra gli alcolisti si è potuto riscontrare un marcato deterioramento del Sistema Nervoso Centrale, soprattutto se accompagnato da malnutrizione.

La Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Fourth Edition (DSM-IV), ovvero la attuale nomenclatura dell’Associazione Americana degli Psichiatri, ha creato delle specifiche categorie di diagnosi di disordini mentali collegati direttamente e rispettivamente al consumo di alcool, nicotina e caffeina.

Secondo le definizioni del DSM-IV tutte e tre le sostanze creano dipendenza e i pazienti con varie patologie mentali sono più inclini ad utilizzare o abusare di tutte queste tre droghe comuni.

Pazienti affetti da bipolarismo sono risultati più inclini al consumo di alcool durante i picchi di depressione della loro malattia; pazienti schizofrenici solo soliti consumare molto, fino ad arrivare ad abusare di tutte e tre le sostanze per alleviare le loro disforia.

Alcool

Il consumo di alcool ha origini molto antiche: il suo consumo sotto forma di vino e birra è menzionato fin dai primi ritrovamenti di civiltà. I medici sumeri ed egiziani inclusero vino e birra nelle loro prescrizioni mediche per alleviare disturbi legati all’ansia. Nel XIX secolo, la letteratura medica ha riconosciuto l’alcool come il maggiore responsabile della morbilità mentale e la fenomenologia dell’alcolismo cronico o acuto era molto ben conosciuto all’epoca.

Ball, un rinomato professore di psichiatria di Parigi scrisse nel 1880: “tra tutti i veleni, che esercitano diverse influenze e intossicazioni di vario grado, l’alcool è senza dubbio la sostanza i cui effetti sono stati maggiormente meticolosamente descritti e investigati.

Gli squilibri mentali dovuti all’alcool sono molteplici: il più evidente è il mood depressivo che caratterizza gli alcolizzati. Tra gli altri ci sono disordini psicotici, delirium tremens, allucinazioni, deperimento, demenza, mancanza di concentrazione e persistenti episodi di amnesia.

La correlazione tra alcool e depressione è molto complessa e, ancor oggi, non si capisce quale dei due fattori sia quello scatenante. Ciò che è certo è che il consumo di alcool aumenta il rischio di diventare soggetti depressi. Bode, un famoso psichiatra tedesco additò la melanconia come causa primaria dell’alcolismo. Oggi la melanconia è classificata come depressione severa. Bode arrivò alle sue conclusioni osservando soggetti predisposti, per esempio persone che si ritrovavano depressi a causa di situazioni sfavorevoli, come un trasferimento da una città soleggiata italiana alla nebbia londinese. Notò che i pazienti si davano alla bottiglia per alleviare i loro sensi di colpa, ineguatezza, la loro ansia, tristezza e vacuità mentale. Nonostante ciò al giorno d’oggi possa apparire un’ovvietà, il legame tra alcool e depressione è molto più complesso di quanto possa sembrare ad una prima occhiata: infatti i soggetti che consumano pochissimo alcool possono essere meno predisposti alla depressione, rispetto a chi è astemio o alcolista.

Fatto sta che la depressione indotta da alcool è una condizione comunemente osservabile. Bere può essere secondario alla depressione, quando l’alcool è usato dal paziente come automedicazione.

Quando è usato per alleviare ansie, paure, solitudine, tristezza e quant’altro è facile ottenere sollievo momentaneo sul breve termine che si rivelano poi catastrofici nel lungo termine.

Il consumo cronico di alcool, con determinate cadenze precise, rende il paziente più depresso e ansioso. Nonostante l’alcolismo porti alla depressione, ci sono molti casi di alcolismo che non si possono ricondurre ad una depressione pregressa, contrariamente alla credenza popolare.

Un primario disordine dell’umore è solitamente facilmente riscontrabile, soprattutto per quanto riguarda il sesso femminile, ma ciò può essere imputato ad un disturbo bipolare piuttosto che ad una depressione vera e propria.

È molto spesso ignorato il fatto che il disturbo bipolare possa indurre a bere. In realtà, nel pensiero comune il disturbo bipolare è difficilmente riconoscibile, molto meno rispetto a depressione severa o schizofrenia.

Il disturbo bipolare rientra tra le alterazioni dell’umore che sono causate da altrettante alterazioni di emozioni, pensieri e comportamenti. Chi sperimenta questa condizione è portato a vivere delle fasi di mania, alternate da fasi di depressione.

Secondo le modalità e la frequenza di queste alternanze, il disturbo bipolare è distinto in tre categorie:

Disturbo bipolare IPer fare diagnosi di Disturbo Bipolare I è necessario e sufficiente che vi sia un episodio maniacale nell’anamnesi purché tale episodio non sia meglio spiegato da schizofrenia e relativo spettro. L’età media di esordio è di 18 anni.

Disturbo bipolare II Per la diagnosi di Disturbo Bipolare II è necessaria la presenza di almeno un episodio ipomaniacale ed uno depressivo maggiore.

Disturbo Ciclotimico – Per la diagnosi di Disturbo Ciclotimico è necessario per almeno due anni avere numerosi periodi con sintomi ipomaniacali che non soddisfano i criteri per l’episodio maniacale e numerosi periodi con sintomi depressivi che non soddisfano i criteri per l’episodio depressivo maggiore. Tali sintomi non scompaiono per più di due mesi ogni volta.

Le differenze tra i tipi risiedono sostanzialmente, nell’intensità dei sintomi maniacali e in parte, dei sintomi depressivi.

Cosa può causare il disturbo bipolare?

Molto spesso, i soggetti che soffrono di bipolarismo hanno avuto episodi simili in famiglia. I geni, però, non rappresentano l’unica causa. Il cervello dei pazienti colpiti da tale disturbo mostrano mutamenti fisici nel loro cervello (dati emersi da studi di brain imaging) oppure squilibri nei neurotrasmettitori, nel funzionamento della tiroide e nei ritmi circadiani. In particolare, sono emersi livelli molto alti di cortisolo, quello che viene chiamato ormone dello stress. Nella vita di ciascun soggetto, predisposto o non, possono presentarsi delle situazioni a rischio che potrebbero favorire l’insorgenza del disturbo. Tra queste spiccano:

  • stress
  • abuso di sostanze
  • assunzione di farmaci (es. antidepressivi)
  • cambiamenti stagionali
  • mancanza di sonno

Fase ipomaniacale e maniacale

La fase ipomaniacale e maniacale si caratterizza per la presenza di:

  1. disinibizione eccessiva;
  2. comportamenti socialmente inappropriati;
  3. euforia accompagnata dalla sensazione di avere enormi potenzialità personali che può aggravarsi fino a divenire delirio di onnipotenza (per es. tutto appare possibile e fattibile, tanto che spesso si commettono azioni impulsive anche pericolose per se stessi o per gli altri oppure si intraprendono azioni avventate);
  4. non si riesce a portare a termine alcun progetto;
  5. si ha una grande energia, tanto da non sentire il bisogno di mangiare né dormire;
  6. il comportamento diventa disorganizzato e inconcludente, con azioni senza alcuna direzione apparente (per es. non si fa in tempo ad iniziare un’attività, che la si lascia a metà per passare ad altro o si fanno più cose contemporaneamente senza completarne alcuna);
  7. i pensieri vanno così veloci che è difficile star loro dietro, così come le parole;
  8. i sensi sembrano affinarsi e la percezione diventa più vivida;
  9. il desiderio sessuale può aumentare, diventando quasi impellente, con comportamenti impulsivi.

Le persone vicine a chi soffre di maniacalità stentano a riconoscere il soggetto: prima timido e riservato, ora non smette un attimo di parlare ed è sorprendentemente disinibito.

In altri casi, invece, la fase maniacale è caratterizzata prevalentemente da umore disforico, con una sensazione di ingiustizia subita e quindi con la presenza di grande irritabilità, rabbia e intolleranza. In questa fase possono comparire sensazioni di essere perseguitati e/o controllati che possono sfociare in vera e propria convinzione delirante. Spesso queste sensazioni sono accompagnate da un comportamento aggressivo, con scarsa capacità di valutare le conseguenze delle proprie azioni.

A volte l’esperienza soggettiva delle fasi di eccitamento è piacevole e ricercata altre volte è sgradevole. Le fasi di eccitamento possono essere più o meno severe (ipomaniacali o maniacali).

Fase depressiva

La fase depressiva che spesso segue quella maniacale e ipomaniacale, rappresentandone l’opposto, si caratterizza per:

  • umore molto basso, con la sensazione che nulla interessi né possa dare piacere. Si perde il significato della vita, che appare profondamente dolorosa.
  • sonno e l’appetito possono aumentare o diminuire.
  • ci si sente senza energie e facilmente affaticati, con una grande difficoltà nel concentrarsi.

Le fasi depressive possono risultare talmente gravi da portare al suicidio o ad atti autolesionistici, durano di più di quelle maniacali, che possono durare anche solo pochi giorni e spesso sono anche più frequenti nell’arco della vita.

A volte da una fase si passa immediatamente all’altra, altre volte intercorre un periodo di umore normale o misto spesso pieno di ansia. Di solito una fase insorge gradualmente, ma a volte l’insorgenza è più improvvisa.

La fase mista

Questa fase rappresenta spesso un passaggio tra la fase depressiva e quella di eccitamento. Si caratterizza dalla presenza contemporanea di sintomi depressivi e ipomaniacali. Frequentemente la persona in questa fase soffre di una pervasiva ansia e irritabilità.

Il disturbo bipolare influisce negativamente sulla qualità della vita delle persone. Purtroppo è una condizione molto sottovalutata e non tutti i pazienti vanno in cura, proprio perché sono convinti che il loro comportamento faccia parte del proprio carattere. E sono portati a pensare la stessa cosa amici e parenti. Questa condizione può diventare così grave da compromettere definitivamente i rapporti interpersonali e lavorativi.

L’abuso di sostanze è stato riconosciuto come una tra le cause più comuni del disturbo bipolare.

Le sostanze considerate fattori di rischio a cui si fa riferimento sono alcool, nicotina, caffeina e cocaina. La cocaina, essendo una droga pesante, è in grado di creare molta dipendenza ed alterare significativamente la quantità e la qualità dei neurotrasmettitori è causa diretta di molte altre condizioni psichiche, tra cui depressione e schizofrenia. Stessa cosa vale per l’alcool.

Nicotina e caffeina sembrano fare da “condimento” alla condizione generale dei pazienti psichiatrici. È noto che nicotina e caffeina rendano le persone “normali” più nervose: la nicotina stimola continuamente la produzione di adrenalina, che è un ormone utile in caso di pericolo imminente. Non è da escludere che “soggetti predisposti”, o meglio più predisposti di altri, possano sviluppare ansia, paranoia, fino a condizioni psichiche più invasive facendo uso solo di nicotina.

Non sono stati condotti studi veri e propri sull’uso di nicotina e l’insorgenza delle malattie mentali, ma ciò non implica che non sia un possibile veicolante, anzi. Studi su cavie e scimmie hanno dimostrato come l’esposizione al fumo di tabacco in età prenatale, danneggi gravemente lo sviluppo cerebrale del feto. I risultati più allarmanti si sono avuti nei ratti, i cui cuccioli delle mamme esposte al fumo presentavano meno capacità di concentrazione rispetto a quelli non esposti.

La dipendenza da tabacco classificata come disturbo mentale.

Nel 1980 l’Associazione Americana degli Psichiatri inserì, nel Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM-III), la dipendenza da nicotina come disturbo psichiatrico vero e proprio. A fronte di ciò, sono stati istituiti dei programmi per aiutare le persone a smettere di fumare, che si sono però rivelati inutili se i pazienti non sono motivati a smettere.

Purtroppo può risultare difficile smettere con questa nociva droga per via della diffusione e accettazione su larga scala del vizio di fumare tabacco. Il tabagismo è stato riconosciuto come prima causa di morte evitabile nel mondo e le statistiche mostrano come le persone con un livello di educazione inferiore siano più propense ad essere dipendenti dalle sigarette. Nonostante dagli anni 70 ai 90 siano diminuiti i fumatori di circa il 18%, il tabagismo resta una piaga sociale difficile da debellare.

Caffeina

Quasi l’80% della popolazione dei Paesi più influenti al mondo beve tè e/o caffè quotidianamente.

La caffeina, che oltre ad essere contenuta nel caffè, è presente nel tè e in piccole concentrazioni anche nel cacao. È una pianta originaria dell’Etiopia ed è stata esportata in tutto il mondo per far sì che si adattasse ai diversi climi già a partire dal XV secolo. Il suo frutto e la derivante miscela sono apprezzati per via dell’effetto stimolante che ha sul cervello; il caffè è in grado di aiutare a concentrarsi e facilita la socializzazione. In Cina la coltura del tè è ben più antica, già tre secoli prima di Cristo veniva largamente coltivato. Una tazza di caffè contiene circa 100 mg di caffeina, mentre una di tè, ne contiene poco meno della metà.

Oltre agli apparenti benefici aspetti sopracitati, la caffeina sembra riuscire a motivare le persone a lavorare, essendo anche in grado di migliorare il tono dell’umore.

Purtroppo c’è un però che andrebbe preso in considerazione: un esempio banale riportato dagli psichiatri è che le persone affette da schizofrenia bevono molti caffè al giorno. Tra l’altro gli studi compiuti su tali soggetti, hanno dimostrato come la caffeina potesse peggiorare i sintomi positivi, e migliorare quelli negativi. Una situazione deleterea, visto e considerato che il caffè è una sostanza sottostimata e largamente consumata da quasi tutti.

La dipendenza da caffeina

L’Associazione Americana degli Psichiatri ha stilato delle categorie di diagnosi che variano dal livello di dipendenza da caffeina. Hanno potuto constatare che questa sostanza sia in grado di dare segni di astinenza: per chi è abituato a bere il caffè la mattina, saltarlo equivale ad una riduzione di concentrazione.

La dipendenza da caffeina è rafforzata dal gusto e dall’odore del caffè stesso, così come per le sigarette è accentuata dal rituale di accenderle in momenti particolari di noia, stanchezza e stress.

I sintomi dell’astinenza rientrano rapidamente, una volta che si riprende a bere caffeina e, nei casi in cui si assumano abitualmente più dosi giornaliere e vengano tolte anche per un solo giorno, le manifestazioni di astinenza possono essere più gravi, fino ad arrivare a sperimentare nausea e forti mal di testa, stati di ansia, depressione, difficoltà a concentrarsi, irritabilità, dolori muscolari e astenia.

La cosa peggiore è che anche in seguito ad un consumo cronico si possono sperimentare gli stessi sintomi di un’astinenza. Il caffè è infatti ritenuto responsabile di disturbi di ansia e sonno, la caffeina in esso contenuta è in grado di modificare i ritmi sonno – veglia, nonostante apparentemente i soggetti con maggior tolleranza non dimostrino significativamente problemi ad addormentarsi. Non è da escludere che la qualità del sonno sia peggiore rispetto a quella di chi non assume caffeina.

I sintomi di astinenza hanno il loro picco dopo 2 giorni senza assunzioni di dosi, e scompaiono dopo circa due settimane. Trascorsi circa quattordici giorni, si può tranquillamente tornare ad una vita normale, senza caffè e senza strascichi di astinenza.

Nonostante la comprovata morbilità verso tale sostanza, ciò non sembra preoccupare minimamente le persone che ne fanno un uso quotidiano.

Non esistono sostanze che sono state più scandagliate dagli scienziati come alcool, nicotina e caffeina, e tutte e tre le sostanze sono state dichiarate responsabili di determinate condizioni mentali. Tuttavia, non si possono tirare somme precise perché l’essere umano è portato di natura ad avere più dipendenze insieme: si sa che le donne prediligono il cioccolato e il caffè, mentre gli uomini alcool e sigarette. Ma non è finita qui, le dipendenze pericolose e socialmente accettate, spaziano anche in altri ambiti, come quello del gioco d’azzardo e l’uso di internet che sta destando grande preoccupazione di recente, dopo l’abuso di TV. Gli uomini sono più portati a sviluppare la dipendenza da internet che presto sarà classificata come disturbo mentale, in grado di svilupparne molti altri. Una dipendenza distruttiva capace di danneggiare la vita sociale, lavorativa e affettiva degli individui affetti. Tutte queste dipendenze sopraccitate, hanno in comune la stimolazione della stessa area del cervello nel nucleus accumbens, adibita alla produzione di dopamina, un ormone in grado di generare gratificazione nell’essere umano. Insieme a queste sostanze e comportamenti, anche il sesso, il cibo e altre droghe possono alterare significativamente il circuito dopaminergetico.

La via di fuga dalle dipendenze

Gli esseri umani, grazie alla corteccia prefrontale sono in grado di valutare i rischi di tali comportamenti in ogni fase e livello di dipendenza, la forza di volontà, gioca il ruolo principale per stoppare il circolo vizioso innescato da altre aree del cervello.

L’affascinante dualismo tra i bisogni biologici e le scelte consce ha da sempre rappresentato un punto critico, fonte di dialogo e di introspezione, testimone il fatto che sono argomenti da sempre trattati in testi religiosi e filosofici.

Cannabis, dipendenza e sanità mentale

Tornando alla Cannabis, dopo che i governi finanziarono studi condotti in maniera incompleta e non professionale, non tenendo appunto conto dell’interazione da parte di altre sostanze dannose per la salute mentale come caffeina, nicotina e alcool, la tendenza attuale è quella di condurre studi più accurati, dal momento che Oltreoceano la Cannabis è stata legalizzata anche ad uso ludico.

Inizialmente in America la Cannabis fu legalizzata a scopo medico per trattare diverse patologie fisiche. Col passare del tempo fu ampiamente sdoganata anche per trattare patologie psichiatriche e psicologiche come ansia, depressione, disturbo da stress post traumatico, psicosi e dipendenze da altre sostanze.

Già a partire dagli anni ’70 il famoso psichiatra e professore emerito della Harvard School of Medicine, Lester Grinspoon fu incaricato di studiare gli effetti dannosi che la Cannabis avrebbe avuto sul cervello umano.

Il risultato fu che Grinspoon scrisse un trattato a favore della Cannabis, perché la trovò utile nel trattamento di tutte le condizioni psichiatriche! Egli fu un pioniere nella ricerca di una cura per la schizofrenia e trovò nella Cannabis molte risposte positive, tanto che la usò per trattare il suo cancro. Grinspoon oggi ha 91 anni e pubblica ancora online i risultati delle sue ricerche in campo medico sui suoi siti “Marjuana, the forbidden medicine”, che contiene migliaia di testimonianze di pazienti in cura con la Cannabis e “Uses of Marijuana”, dove risponde alle domande più frequenti da parte di pazienti e consumatori.

Nonostante le sue brillanti ricerche approfondite e cariche di note positive sui benefici appurati su diverse patologie mentali e non, i governi di tutto il mondo proibizionista, continuarono a finanziare ricerche che dessero risultati opposti.

I peggiori studi sulla Cannabis e la fantomatica correlazione tra l’insorgenza di malattie mentali furono condotti nel Regno Unito, primo produttore mondiale di Cannabis a scopo medico, la quale viene trasformata in un prodotto sintetico (Sativex), e da psicologi australiani.

Il nodo della questione venne rafforzato dal fatto che la Cannabis possa influire negativamente sullo sviluppo del cervello dei giovani adolescenti che, essendo ancora in formazione, potrebbe subire delle modifiche. Ciò non toglie che qualsiasi sostanza possa esercitare tali influenze, additivi chimici presenti normalmente negli alimenti a lavorazione industriale compresi.

Fortunatamente, a parte qualche nostalgico proibizionista, i ricercatori stanno facendo passi da gigante in campo medico. Ad esempio, al giorno d’oggi la Cannabis è riconosciuta come l’unica cura realmente efficace e senza controindicazioni contro il disturbo da stress post traumatico. Senza contare il fatto che non si è riusciti a trovare una reale dipendenza fisica da Cannabis da parte dei consumatori, come invece è accaduto per tè, caffè, alcool e sigarette e… cioccolato.

Si stanno inoltre ottenendo ottimi risultati nel trattamento del disturbo bipolare.

Fino a quando la Cannabis era illegale, gli studiosi erano convinti che potesse aumentare il rischio di episodi maniacali durante le particolari fasi del disturbo bipolare, e che potesse essere utile solamente durante le fasi depressive.

Invece, da quando molti stati americani hanno legalizzato anche l’uso ludico della Cannabis, è incrementato di circa il 4% dei pazienti, seguiti dagli psichiatri, che ne fanno uso per automedicarsi.

Le testimonianze riportate aprono il cuore; ci sono persone che raccontano come fosse difficile stare al mondo prima di provare la Cannabis. Gente che aveva provato ogni tipo di terapia, fino ad arrivare alla conclusione di suicidarsi, ora riesce a condurre una vita normale grazie alla Cannabis.

Un altro punto a favore della legalizzazione ludica della marijuana è il fatto che i pazienti possono provare diverse varietà di Canapa, contenente diversi terpeni e percentuali di cannabinoidi come THC e CBD. Ogni persona può scegliere in base alle proprie esigenze ed esperienze pregresse il tipo di erba più adatta alla fase che sta vivendo.

Gli occhi degli psichiatri sono puntati appunto sui pazienti affetti da bipolarismo che sono i più difficili da trattare, anche e soprattutto a causa dell’eccessiva versatilità della patologia stessa.

Conosco personalmente diverse persone affette da bipolarismo che riescono a condurre una vita soddisfacente sia a livello lavorativo che sociale, proprio grazie alla Cannabis. Ho notato che sono i soggetti che tendono a consumarne ingenti quantitativi e che il loro livello di tolleranza è molto più alto rispetto a quello delle altre persone. Anche la loro consapevolezza su ciò che stanno assumendo è maggiore, ragion per cui l’automedicazione può davvero risultare efficace in casi come questi.

Quando e se avranno voglia di far conoscere la loro testimonianza senza vergogna, sarò lieta riportarla. Purtroppo in rete esistono ancora molti “studi” che spalleggiano il pregiudizio su questa versatile pianta, utile all’uomo anche nei casi più estremi e sarebbe anche l’ora di portare luce laddove fin’ora ha regnato il buio dell’ignoranza.

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